Poco o quasi nullo lo spazio che l’informazione corrente dà al tema di invalidi e disabili; da parte delle forze politiche di potere solo interventi di scarsa portata, discriminatori, demagogici e palliativi che mantengono ai margini cittadini la cui vita è mediamente contrassegnata da mille difficoltà e povertà, una vita vissuta in assoluta solitudine. Non c’è da stupirsi dal momento che viviamo in un sistema in cui l’individuo è semplicemente una merce da cui ricavare il massimo profitto; quando non si è funzionali a ciò, si legifera con ancora maggior ipocrisia e ferocia in modo tale da dare la parvenza di provvedimenti vantaggiosi verso i più deboli, intessendo in realtà una rete di disposizioni a vantaggio dei privati, contravvenendo senza alcun ritegno ai principi formali della Costituzione.

Dai dati Istat risulta che i disabili in Italia sono quasi 13 milioni, assistiti spesso da famiglie sempre più in difficoltà dato che devono sopperire alle mancanze delle istituzioni nazionali e locali. Una persona su tre è a rischio di povertà e circa un quinto è in condizione di grave deprivazione materiale. Si tratta di una situazione gravissima, se consideriamo anche che tre milioni di cittadini hanno disabilità gravi e tra questi quasi un milione e mezzo ha un’età superiore a 75 anni. Purtroppo il cosiddetto welfare si basa quasi esclusivamente su trasferimenti monetari irrisori, che non consentono minimamente una vita dignitosa al pari di tutti gli altri cittadini. La legge n.68 del 12 marzo 1999 sulle categorie protette (cioè invalidi), approvata con il dichiarato scopo di provvedere all’inserimento degli invalidi nel mondo del lavoro, è stata ampiamente disattesa e strutturalmente è del tutto insufficiente.

Per comprendere quanto sia “efficace” l’intervento dei vari governi (sia di centro-destra che di centro-sinistra), basti pensare che nell’anno in corso le prestazioni per invalidi civili, sordomuti e ciechi parziali sono aumentate da 292,55 a 313,91 euro, quelle per i ciechi ventesimisti (ciechi parziali) arrivano a 217,64 euro, mentre per i ciechi totali arrivano fino a 339,48 euro.

Per quanto attiene all’inserimento delle categorie protette nel mondo del lavoro, nemmeno la stessa legge n. 68 del 12 marzo 1999 viene rispettata. Fra le molte criticità inerenti vanno segnalati: 1) il ritardo nella raccolta dati, 2) un sistema sanzionatorio inefficace e risibile (multe irrisorie) nei confronti di imprese private e pubbliche, 3) le amministrazioni che non rispettano gli obblighi di legge, 4) le aziende di grandi dimensioni risultano persino le meno ottemperanti, 5) i sistemi provinciali di collocamento ridotti a meri uffici burocratici, 6) la mancanza di una banca dati nazionale, 7) le differenze territoriali, che si traducono in ulteriore fonte di discriminazione e marginalizzazione, risultano in costante sviluppo, 8) una rilevante difficoltà di accesso alle umilianti indennità di invalidità civile e di accompagnamento, 9) le invalidità riconosciute dall’Inps al ribasso in termini percentuali rispetto all’effettiva situazione dell’invalido, in modo tale da “ razionalizzare” la spesa, 10) l’aumento dei contenziosi verso i verbali di invalidità emessi dall’Inps, 11) i verbali non impugnabili dopo il primo grado di giudizio, 12) l’incidenza delle tasse e dei ticket sanitari sulle magrissime entrate dei disabili.

A questa legge beffa si aggiunge la legge sul “Dopo di noi” (Legge n. 112/2016), che si dice pensata per supportare disabili, allorquando muoiano i genitori. Innanzitutto i dati sulle persone disabili, e ciò la dice lunga sulle intenzioni del governo, non sono aggiornati. Per cui diventa difficile chiedere o decidere di finanziare progetti di sostegno all’invalidità. Esaminando con attenzione la legge, è evidente che il fine è quello di favorire l’ingresso dei privati in un lauto mercato in cui si persegue il profitto a scapito dei disabili e dei loro genitori. Tra l’altro, anche quando i familiari sono costretti a prendersi cura del disabile, questi ultimi in Italia risultano privi del riconoscimento dello status di caregiver. Fra le tante criticità di tale legge qui di seguito quelle più rilevanti: 1) si parla di “ incapacità di assistenza”, quindi non d’incapacità ad assolvere al proprio ruolo genitoriale; pertanto si sancisce che la responsabilità dell’assistenza di una persona con disabilità grave (che richiede anche competenze specifiche) è dei genitori, non del servizio pubblico; 2) le prestazioni da erogare sono previste nei limiti delle risorse disponibili, cioè sono vincolate alla sostenibilità economica; 3) in caso di situazioni emergenziali è prevista la permanenza temporanea in soluzione abitativa extrafamiliare che, vista l’emergenza, sarà la prima disponibile e quindi non certo la più idonea a tutelare il diritto a condizioni di vita minimamente decorose; 3) nella legge non si parla mai di assistenza domiciliare, ergo, si sancisce la situazione di fatto di un’assistenza domiciliare assolutamente carente e funzionale alle esigenze imprenditoriali del privato; 4) è previsto l’innalzamento dell’assegno di accompagnamento a 750 euro solo in caso di un’apposita assicurazione contratta dai familiari del disabile; in tal modo   vengono anche esclusi così i disabili che vivono in famiglie a basso reddito che non possono permettersi di pagare l’assicurazione, 5) introduce la possibilità che beni o patrimoni trasferiti ad istituti finanziari e assicurativi e ad imprese del privato-sociale, grazie all’utilizzo del trust (accordo/contratto basato sulle finanze attraverso le quali i genitori lasciano i loro patrimoni a istituti, enti ed associazioni che gestiranno la vita dei loro figli).

E’ evidente che in primo luogo l’assegno di accompagnamento deve essere integralmente a carico dello Stato e non tradursi in un ulteriore onere per gli stessi familiari a vantaggio di banche, fondazioni, assicurazioni, cooperative ed enti del Terzo Settore. In secondo luogo si tratta di un fatto gravissimoquello di aver stabilito che l’ammontare patrimoniale indicato nel “trust” ed eventualmente ulteriormente incrementato anche come riflesso del pagamento di apposite quote assicurative, venga, in caso di decesso dei familiari del disabile,  gestito a “tutela” dello stesso disabile” sempre dalle banche, dalle  assicurazioni, dalle cooperative e dagli enti del Terzo settore. Un profitto indegno di un paese civile sulla pelle dei più deboli. Piove volutamente sul bagnato e volano gli stracci.

Dei circa 466 milioni di € stanziati tra il 2016 e il 2022 per l’autonomia e l’inclusione delle persone con disabilità grave e senza sostegno famigliare, la Corte dei conti certifica che soltanto 240 milioni di € sono stati effettivamente trasferiti alle Regioni a causa della mancata rendicontazione dell’effettiva attribuzione delle risorse ai destinatari.

Solamente 6 Regioni, Abruzzo, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Toscana e Piemonte, risultano aver ricevuto tutte le somme complessivamente assegnate, mentre le altre, che non hanno rendicontato, hanno riscosso solo in parte le quote spettanti. Scrive la Corte dei Conti: “Ben tredici Regioni non hanno ricevuto le quote delle risorse assegnate per il 2020 (Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia, Umbria, Valle D’Aosta e Veneto). Per sette di dette Regioni non risulta inviata la rendicontazione delle risorse trasferite nel 2018, mentre altre due hanno solo parzialmente rendicontato le risorse utilizzate (Liguria, Marche)”. Inadempienze regionali, non certo casuali, indicative di possibili destinazioni alterative dei fondi o del PNRR destinati teoricamente all’investimento sui “Percorsi di autonomia per persone con disabilità”, così come della possibile gestione dei fondi in funzione di un’eventuale Autonomia differenziata, che aumenterà la forbice fra le regioni del centro-nord e quelle del sud e delle isole, una scure sulla testa dei più deboli.

Siamo per di più ancora una volta di fronte ad una pseudosinistra che, calpestando vigliaccamente il suo ruolo teoricamente a tutela delle classi subalterne, soprattutto proletarie, avvalla le politiche d’un sistema capitalistico che, non solo mantiene i portatori di disagio fisico, economico e sociale ai margini della società, ma ne trae vantaggio affidando la cura di disabili e invalidi a strutture private e procedendo nella demolizione, nel contempo, di quel po’ di servizi pubblici rimasti. Ne è appunto un lampante esempio la legge n. 112 del 2016 “Dopo di noi”.

Da qui la necessità di creare un movimento unitario e di massa per la costruzione di una società fondata sugli interessi e sul potere politico del proletariato e delle masse popolari nella prospettiva di una società comunista, una società inclusiva che dia a ciascuno secondo le sue necessità e che pretenda da ogni cittadino ciò che egli può dare alla collettività secondo le sue capacità.

A tale scopo è anche necessario rivendicare delle leggi che diano una risposta reale ai diversi bisogni e necessità di fondo della maggioranza della popolazione, ben sapendo che una società basata sul profitto e sullo sfruttamento non provvederà mai in tal senso. Questo con il fine di rendere coscienti, organizzare e mobilitare settori sempre più vasti di massa lungo il cammino della rivoluzione antifascista democratico-popolare.