Pubblichiamo da The Red Heral una traduzione non ufficiale di un interessante articolo del KKE(m-l) greco. L’articolo risulta datato rispetto ai vari successivi eventi su scala internazionale e relativi alla stessa Grecia, ma è indicativo di come stia operando il movimento comunista greco in opposizione al revisionismo ed al semi-trotskijsmo del KKE (partito comunista greco) che notoriamente, in Italia, è il principale punto di riferimento ideologico e politico estero del Fronte della Gioventù Comunista. 

Condividiamo una traduzione non ufficiale di una recente dichiarazione del Partito Comunista di Grecia (Marxista-Leninista) [KKE(ml)] sulla recente ondata di manifestazioni in tutto il mondo e sul ruolo dei giovani in questi sviluppi. 

Gli eventi degli ultimi giorni rivelano il periodo in cui l’umanità è entrata. 

Da un lato, ci sono bombardamenti a Kiev, droni intercettati in Polonia/Romania, le consultazioni sugli articoli 4 e 5 della NATO e l’inizio di un nuovo, più sanguinoso ciclo genocidiario contro il popolo palestinese a Gaza. 

Dall’altro, migliaia di persone stanno scendendo in piazza, cercando di trovare risposte davanti alla cupa realtà che il sistema ha creato. Dai poveri e indigenti dei paesi asiatici alle metropoli imperialiste dell’Occidente, è chiaro che il sistema non ha più nulla da offrire alla gente. 

In queste mobilitazioni di massa, che a volte assumono il carattere di rivolte, i giovani non solo sono presenti, ma riescono anche a lasciare il segno.

In Nepal, migliaia di giovani hanno invaso Kathmandu e altre città in risposta alla decisione del governo di bandire differenti piattaforme di social media, subendo un’estrema repressione che ha causato oltre 70 morti. 

I tentativi di presentare la rivolta come manifestazione dell’indignazione della “generazione Z online” oscurano le condizioni di classe che hanno portato una gioventù con un tasso di disoccupazione del 22%, e dove 1 cittadino su 5 vive al di sotto della soglia di povertà, a incendiare il parlamento e le case dei politici, istituire posti di blocco e rifiutarsi di fare marcia indietro.

In Bangladesh, nell’estate del 2024, la gioventù soffocata (oltre il 40% vive con meno di 1,25 dollari al giorno) ha organizzato proteste studentesche contro la decisione del governo di modificare le quote per i posti di lavoro nel settore pubblico, scatenando una rivolta di massa che ha costretto il Primo Ministro Sheikh Hasina a fuggire in elicottero in India.

In Francia, 200.000 manifestanti hanno invaso le strade contro le politiche dell’imperialismo francese. Il movimento “Blouquons tout”, a differenza dei “Gilets jaunes”, è sostenuto principalmente da studenti di scuole e università. Gli 80.000 poliziotti mobilitati hanno mostrato la dimensione delle proteste. “I giovani sono il futuro. La vecchia generazione ci ha lasciato un mondo marcio, un governo marcio. Sta a noi lottare per cambiare le cose e danzare sulle rovine del vecchio mondo”, ha detto uno studente francese durante le proteste.

In Italia, la più grande manifestazione dai tempi del G8 si è svolta a Genova. 50.000 persone, compresi i giovani, hanno invaso le strade per mostrare la loro solidarietà al popolo palestinese. Gli studenti hanno avvertito che procederanno con le occupazioni se “la Global Sumud Flotilla verrà attaccata da Israele”, mentre all’Università di Pisa hanno occupato un’aula dove insegnava un professore filosionista.

 

In Inghilterra, migliaia di giovani stanno partecipando alle recenti manifestazioni indette dall’organizzazione Palestine Action, dichiarata illegale dal governo britannico come organizzazione “terroristica”. Recenti ricerche hanno rivelato le difficoltà causate dalle manifestazioni per la Palestina nelle università, dove istituzioni come Oxford, Cambridge e l’Imperial College di Londra sono state costrette a coordinarsi con la polizia e le società di sicurezza private per gestire gli studenti. Finora, 28 istituzioni hanno avviato procedimenti disciplinari contro almeno 113 studenti.

Negli Stati Uniti, le occupazioni studentesche nelle università a sostegno della Palestina hanno dimostrato che anche nel cuore dell’imperialismo c’è il potenziale per far fiorire la resistenza. La brutale repressione, le minacce di espulsione degli studenti, la mobilitazione di tutti i mass media e persino l'”ossessione personale” di Trump hanno rivelato non solo tentativi di sostenere il genocidio, ma anche preoccupazioni sulla forma che assume il dissenso dei giovani.

Nel nostro Paese, la partecipazione di studenti, studenti e giovani alle proteste di Tempi e per la Palestina sono esempi simili dello sforzo di manifestare anche qui le lotte esistenti.

Quanto illustrato sopra è solo un piccolo scorcio dello sforzo dei giovani di trovare percorsi alternativi. Una ricerca che, in assenza di un adeguato movimento comunista, li porta a deviare su percorsi sbagliati. Tuttavia, non cessano mai di cercare un futuro migliore e più giusto. Non cercano “solo” risposte ai problemi sollevati dalla povertà, dalla guerra e dall’erosione dei loro diritti democratici. Cercano una visione di una società in cui avranno un ruolo da svolgere. Una società in cui potranno vivere, lavorare, divertirsi e costruire relazioni in termini diversi. Le condizioni di sconfitta e disintegrazione a livello ideologico-politico-organizzativo causate dalla precedente battuta d’arresto del movimento comunista-operaio-rivoluzionario in questa fase definiscono i “limiti” della situazione attuale. Questi limiti, tuttavia, non sono sufficienti a far sì che i giovani “se ne stiano con le mani in mano”.

Rabbia, collera e indignazione hanno spinto i giovani a scendere in piazza con il “pretesto” di una semplice mobilitazione su internet, a sacrificare il lavoro e l’istruzione universitaria. Per cogliere la scintilla e trasformarla in un fuoco, devono avvicinarsi alle idee comuniste. Questo metterà in luce la necessità di connettersi con la classe operaia e il popolo, metterà in luce la necessità di organizzazione e politicizzazione e sarà in grado di dare forma e contenuto alla ricerca di “un’altra società”.

“Perché dovremmo chiamare violente le acque di un fiume e non le rive che le trattengono?”

Bertolt Brecht