Traduzione non ufficiale da The Red Herald.
Condividiamo la traduzione di una dichiarazione rilasciata dal Comitato di coordinamento della Lega Antimperialista Internazionale (AIL) in occasione del secondo anniversario del Diluvio Al-Aqsa.
Antimperialisti del mondo, unitevi!
«Siamo stati cacciati dalla nostra terra. Siamo stati vittime delle vittime, espulsi per fare spazio a uno Stato ebraico»*. Le parole di Edward Said sull’esilio del 1947-48 esprimono ancora oggi la realtà in cui vive il popolo palestinese. Sono passati settantasette anni; le date e i nomi sono cambiati, ma l’apolidia, la povertà, la fame, l’esilio e la morte dei palestinesi sono rimasti gli stessi. L’aspetto più grave di ciò che sta accadendo oggi è che la violenza militare si è fusa con lo strangolamento economico e il blocco umanitario, trasformando la fame in un’arma strategica. La fame non è solo una conseguenza, ma uno strumento diretto di sfollamento di massa e spoliazione.
Dal 7 ottobre 2023, moschee, ospedali, scuole, case e campi profughi a Gaza sono stati presi di mira, con 17.000 tonnellate di bombe sganciate in soli due anni. Circa 65.000 civili, corrispondenti approssimativamente all’8% della popolazione di Gaza, sono stati uccisi, 160.000 feriti e migliaia rimangono sotto le macerie. Prima del 7 ottobre, il 39% dei 2 milioni di abitanti di Gaza e il 36,7% di quelli della Cisgiordania avevano meno di 14 anni. Secondo il rapporto delle Nazioni Unite del 24 settembre 2024, solo nelle prime tre settimane il numero di bambini uccisi a Gaza ha superato il totale dei morti nei conflitti in più di venti paesi negli ultimi tre anni. Questo quadro mette a nudo il fatto che Gaza è stata trasformata nella Guernica della Palestina.
I bombardamenti hanno paralizzato le infrastrutture, seguiti dal taglio delle forniture umanitarie di base. Acqua, cibo, medicine, carburante ed elettricità sono stati limitati o completamente interrotti; gli ospedali sono diventati inoperativi, a volte colpiti direttamente, il tutto accompagnato da uno strangolamento economico. In base al Protocollo economico di Parigi firmato alla fine del processo di Oslo, Israele, autorizzato a riscuotere le tasse per conto dell’Autorità palestinese, ha bloccato trasferimenti per un valore di circa 188 milioni di dollari al mese (il 64% delle entrate totali nel 2021). Pertanto, i palestinesi non sono stati in grado di pagare gli stipendi di 150.000 dipendenti civili e militari. Secondo un rapporto di Kav LaOved del gennaio 2022, i salari dei palestinesi che lavorano in Israele costituivano circa il 40% del reddito della Palestina, mentre i dati dell’ILO mostrano che circa il 20% del PIL dipendeva da questo flusso di manodopera. Dopo il 7 ottobre, la revoca dei permessi di lavoro ha prosciugato queste fonti di sostentamento, indebolendo ulteriormente il tessuto sociale. Anche l’agricoltura è stata presa di mira: l’accesso ai campi per l’irrigazione o il raccolto è stato negato con pretesti di “sicurezza” e i giornalisti hanno documentato l’incendio o lo sradicamento di 10.000 ulivi in Cisgiordania, Gaza, Ramallah e Jenin. L’ONU ha riferito che tra il 21 giugno e il 21 luglio, solo nel 2024, 1.057 palestinesi sono stati uccisi mentre aspettavano in fila per ricevere aiuti alimentari. Così, la fame è diventata non solo una conseguenza, ma un mezzo per costringere le persone ad abbandonare la loro terra.
Israele ha confinato la popolazione che non è riuscita a uccidere in città, villaggi e campi profughi in Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza, circondati da muri, posti di blocco, cancelli di ferro e blocchi di cemento, trasformandoli in prigioni a cielo aperto. Spogliamenti e umiliazioni, arresti arbitrari, saccheggi e incendi di proprietà, nonché sequestro di terre e risorse da parte dei coloni, talvolta con la scorta dell’esercito, completano il regime di violenza costante che accompagna la fame e l’esilio.
Il modello ripetutamente osservato sul campo è questo: prima arrivano avvertimenti del tipo “questa zona non è sicura, evacuate”; subito dopo, quelle zone sono sottoposte a pesanti bombardamenti e operazioni militari. Questo ciclo costringe i civili a uno sfollamento permanente. Il risultato pratico è lo spopolamento di alcune regioni e il trasferimento del controllo su di esse.
Il “depopolamento” dell’area è seguito dalla ricostruzione e dalla ristrutturazione del territorio con nuovi assetti economici e demografici. Questo modello si sovrappone alle tattiche storiche di sfollamento coloniale: rendere la vita invivibile, cacciare la popolazione, poi riconfigurare l’area. Questo modello si riscontra oggi in alcune parti di Gaza con casi studio che si svolgono simultaneamente: ordini di evacuazione, spopolamento, distruzione, privazione dei bisogni umanitari di base, migrazione forzata. Il ciclo si ripete all’infinito.
Esempi storici dimostrano che questo meccanismo è ben noto: in Nord America, le popolazioni indigene sono state ridotte alla fame e massacrate nelle riserve; in Australia, gli aborigeni sono stati sottoposti a sfollamenti forzati, fame e annientamento culturale. Il modello è chiaro: rendere la vita insopportabile, quindi presentare la migrazione “volontaria” o “temporanea” come una “soluzione”. Il risultato reale è la perdita di terra e l’ingegneria demografica. Quello che sta accadendo oggi a Gaza e in Cisgiordania è una versione contemporanea di questo modello.
Questo meccanismo si manifesta non solo nella pratica, ma anche nel discorso pubblico. All’inizio del 2025, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, dichiarando Gaza inabitabile, ha presentato il trasferimento dei palestinesi in Egitto o Giordania come una soluzione “volontaria” e “temporanea”. Suggerendo che “si possono trovare terre in altre zone e che le persone possono andare in luoghi più sicuri”, ha cercato di legittimare la migrazione forzata. Allo stesso modo, alcuni funzionari israeliani hanno sostenuto il reinsediamento della popolazione di Gaza nel Sinai e hanno incoraggiato coloro che “desideravano” lasciare Gaza. Tutti sanno che le “scelte” fatte sotto la minaccia della carestia, dei bombardamenti e del collasso economico non sono frutto del libero arbitrio, ma sono il travestimento retorico dell’esilio forzato.
Lo sfollamento forzato e il trasferimento della popolazione sono tra le violazioni più gravi del diritto internazionale. La cancellazione del diritto al ritorno comporta la distruzione della proprietà, della memoria culturale e della continuità sociale. La soluzione risiede in accordi permanenti che impediscano l’espropriazione delle persone, sostengano il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e garantiscano la sicurezza dei civili e l’accesso umanitario.
Per questo motivo, noi della Lega Antimperialista Internazionale sottolineiamo: ciò che sta accadendo in Palestina non è solo un conflitto regionale. È la forma moderna del colonialismo, la pratica continua dell’ingegneria demografica e dell’appropriazione delle terre. Qui la fame non è una conseguenza, ma un’arma di guerra usata per cacciare le persone dalle loro case, dalle loro terre e dalla loro patria. La sostenibilità di questa guerra è resa possibile dal sostegno militare, economico e diplomatico delle potenze imperialiste. Senza la protezione degli imperialisti statunitensi ed europei, questo massacro non potrebbe continuare. Pertanto, la solidarietà con il popolo palestinese richiede anche di smascherare le economie di guerra imperialiste, interrompere la vendita di armi e i flussi finanziari, garantire corridoi umanitari al di sopra della politica ed espandere la solidarietà internazionale dei lavoratori.
Oggi, la resistenza a Gaza contro la fame e l’esilio sta alimentando la consapevolezza e il coraggio necessari per erigere barricate domani in altre zone geografiche. La resistenza della Palestina è la resistenza comune dell’umanità. La lotta in Palestina non è solo la lotta di un popolo per la propria esistenza, ma la causa comune di tutti gli oppressi e dei lavoratori. Consideriamo la resistenza contro la fame, l’esilio e il massacro a Gaza come parte della nostra stessa lotta. La nostra solidarietà non deve essere solo a parole, ma deve essere costruita attraverso una pratica organizzata e internazionalista. Stare fianco a fianco con il popolo palestinese, smascherare i trafficanti d’armi imperialisti, i finanziatori della guerra e i regimi collaborazionisti, espandere la solidarietà internazionale della classe lavoratrice e creare nuove Intifada e nuovi centri di resistenza sono oggi la responsabilità di ogni antimperialista.
E noi, come Lega Antimperialista Internazionale, dichiariamo di sostenere questa resistenza e di considerarla parte integrante della nostra lotta.
La patria dei palestinesi è la terra di Palestina!
Israele, occupante sionista, è una forza di occupazione sulla terra palestinese!
Lunga vita a una Palestina libera e indipendente!
Mille saluti ai combattenti della resistenza palestinese che lottano per l’indipendenza e la libertà!
Abbasso il sionismo, l’imperialismo e tutte le forme di reazione!
Lunga vita al diritto all’autodeterminazione della nazione palestinese!
COMITATO DI COORDINAMENTO DELLA LEGA ANTIMPERIALISTA INTERNAZIONALE
* The Question of Palestine (New York: Vintage Books, 1979 [nota a c.d.t.]