Traduzione non ufficiale da A Nova Democracia
L’arresto di Bolsonaro, per violazione del braccialetto elettronico, alla vigilia dell’inizio dell’applicazione della sentenza penale, conclude una fase dell’attuale processo di profonda crisi dell’apparato statale. Questa fase, iniziata con i disordini golpisti del novembre 2022, è stata caratterizzata dall’orchestrazione di una complessa operazione che ha combinato politica e trama poliziesca, diretta dai settori più potenti delle classi dominanti locali (grandi borghesi e latifondisti, servitori dell’imperialismo, soprattutto yankee), con l’obiettivo di “disinnescare una bomba”. Era necessario dissuadere e neutralizzare la tendenza dell’estrema destra a generalizzare il caos sociale e i disordini con l’obiettivo di scuotere la società e avviare un processo irreversibile di intervento militare totale per “garantire i poteri costituiti, la legge e l’ordine”. A tal fine era necessario isolare l’estrema destra nell’opinione pubblica, cosa che si riteneva possibile solo attraverso una certa punizione specificamente rivolta a quella piccola parte che, di orientamento estremista di destra e fascista, aveva osato oltrepassare il limite di ciò che il Dipartimento di Stato yankee definisce ordine politico per i paesi sotto il dominio di questa superpotenza imperialista, in particolare quelli del suo “cortile”, e al quale il nucleo centrale delle classi dominanti locali si sottomette come un segugio.
Frenare l’estrema destra in quel momento non era un compito facile: già nel novembre 2022, nonostante la sconfitta elettorale, era rimasta all’offensiva e aveva continuato a riunire, nelle strade e in azioni armate controrivoluzionarie, decine di migliaia di persone, sostenute da un quarto dell’opinione pubblica e da una palese divisione all’interno delle truppe delle forze armate reazionarie altamente politicizzate. Per portare avanti tale piano, era necessario, prima di tutto, procedere lentamente, combinare la trama poliziesca con la lotta politica all’interno della reazione; “indebolire” la leadership di Bolsonaro, sviluppare vie e deviazioni per dividere la base sociale che si era unita attorno a Bolsonaro. Era necessario ristabilire lentamente l’unità politica nelle truppe delle forze armate reazionarie e salvare dalla demoralizzazione e dalla condanna l’Alto Comando delle Forze Armate (ACFA) che, già prima di Bolsonaro, aveva messo in moto l’offensiva controrivoluzionaria preventiva contro le inevitabili rivolte popolari annunciate dalle violente manifestazioni del 2013/14 che avevano terrorizzato le classi dominanti e fatto scattare l’allarme di pericolo rivoluzionario, situazione che per la leadership militare reazionaria richiedeva il suo intervento nella vita politica nazionale attraverso azioni golpiste di portata parziale per raggiungere gli stessi obiettivi golpisti.
Bolsonaro, questo spregevole sottoproletario controrivoluzionario, che ha trascorso trent’anni in parlamento, esperto in frodi, un individuo che vive di rendita e vagabondo di professione sin dai tempi dell’esercito e riconosciuto come tale dai suoi superiori dell’epoca; terrorista di estrema destra il cui arricchimento proviene da fonti altamente sospette; questo signore ha attirato su di sé e su coloro che ha guidato il desiderio di punizione, non perché sia una minaccia reale a questo sistema di oppressione e sfruttamento secolare dal punto di vista popolare, ovviamente, ma perché ha rappresentato una minaccia eccessiva alla sua stabilità nel tentativo di imporre una via estremista di destra per cercare di salvarlo. Come si suol dire, per le classi dominanti, il crimine di Bolsonaro è stato quello di “amare troppo” il sistema di oppressione e sfruttamento, di cercare di salvarlo in modo donchisciottesco, a qualsiasi costo. La sua condanna e il suo arresto sono diventati imperativi per gli interessi convergenti dei settori più potenti della reazione.
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Oggi, quando ci troviamo di fronte alla condanna del “nucleo cruciale” delle agitazioni golpiste; con l’arresto di Bolsonaro, prima agli arresti domiciliari, ora preventivo, con la conclusione del processo alla Corte Suprema senza ulteriori instabilità e senza il caos sociale dell’estrema destra promesso più volte, è segno che quella fase si è conclusa. In questa fase, infatti, l’estrema destra non è diminuita, dal punto di vista della sua base sociale o anche del suo grado di radicalizzazione; date le sconfitte e le condanne subite, ha cambiato la forma della sua offensiva sul piano della disputa elettorale, nascondendo l’ardore golpista, spostando la crisi politica e la minaccia golpista alla sua forma latente, in un secondo piano. Cioè, quel quarto che nel novembre 2022 credeva che la rottura dell’ordine costituzionale fosse la via da seguire per il Brasile, mantiene relativamente il suo ragionamento, mentre una parte non solo lo mantiene, ma considera Bolsonaro e i generali golpisti che non hanno “accettato” di partecipare alla rottura come inadeguati al compito. La prova si vede nei numeri: a luglio, Datafolha, nonostante i suoi metodi di ricerca sempre discutibili, ha registrato che il 37% degli intervistati si identifica come “bolsonarista”; da aprile a luglio, la crescita è stata del 6% – sì, c’è stata una crescita. Ciò consente all’estrema destra, indipendentemente da Bolsonaro, di rimanere all’offensiva dal punto di vista elettorale, e nessuno può considerare il Paese immune da questo male. D’altra parte, l’estrema destra e il suo progetto di rottura dell’ordine costituzionale, messi sulla difensiva dal punto di vista giuridico e politico-operativo, non sono stati in grado di mantenere la loro mobilitazione. La coesione, nell’offensiva, come registrato nel novembre 2022, è più facile da ottenere o mantenere quando è necessario ritirarsi; solo un’organizzazione di estrema destra, con una forte centralizzazione, potrebbe riuscirci. Condannato e incarcerato, all’interno di questa complessa gestione del nucleo duro dell’establishment, Bolsonaro si è dimostrato incapace di mettere in atto il ricatto, fatto in passato, secondo cui il suo arresto avrebbe provocato il caos. Pertanto, la sua permanenza in qualche carcere della PF o unità militare per lunghi mesi è la tendenza principale, almeno fino alla metà del 2027.
Pertanto, sebbene sia chiedere troppo all’opportunismo, un marxista dovrebbe essere in grado di distinguere una vittoria da una manovra politica. La resistenza popolare ha effettivamente trionfato su Bolsonaro, attraverso la lotta di resistenza economica e soprattutto nella lotta per la terra nell’Amazzonia occidentale, dove migliaia di truppe di polizia militare sostenute da Bolsonaro hanno subito sconfitte in una serie di battaglie contadine in cui si intendeva distruggere la Lega dei Contadini Poveri (LCP) che, secondo le parole dell’estrema destra della polizia di RO, fin da quei tempi, era un movimento fantasma comandato dal CV. La sconfitta di Bolsonaro nella lotta di classe, nel presiedere la repressione e il sistema di oppressione e sfruttamento, è stata questa. Ciò si è espresso come disapprovazione, che già durante il suo governo era stata relegata a un mero 28% di approvazione in un dato momento, la cui conseguenza è stata la sua clamorosa sconfitta elettorale, pur avendo nelle sue mani la “macchina” statale, con conseguente maggiore isolamento dopo l’8 gennaio. L’arresto di Bolsonaro, a sua volta, è opera della manovra dell’establishment per liberare dalla demoralizzazione le istituzioni permanenti centrali del sistema di potere (le forze armate reazionarie) e salvaguardare il sistema politico, in stato di decomposizione, ma la cui sostituzione con un regime più reazionario tramite una rottura istituzionale causerebbe rischi ancora maggiori di sollevazione delle masse popolari.
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Che Bolsonaro venga condannato o assolto, ovviamente, non è indifferente per le classi rivoluzionarie, poiché, in entrambi i casi, vi sono importanti cambiamenti nel rapporto di forze con ripercussioni sugli aggiustamenti e riaggiustamenti nella tattica del proletariato. Le masse popolari, i democratici e gli intellettuali onesti hanno motivi sufficienti per augurare ogni male a Bolsonaro e non possono che desiderarlo con tutta la loro forza; tuttavia, la sua condanna e la sua incarcerazione, che non dovrebbe superare i due anni in una “gabbia dorata”, sono ben lontane dall’essere la punizione che questo terrorista di estrema destra merita. La grande questione, quindi, non è nessuna di queste. Il fatto è che, con Bolsonaro condannato e in carcere, l’estrema destra conserva l’iniziativa elettorale e tende ad imporsi grazie alla profonda e crescente crisi generale di decomposizione della base economica e dell’apparato statale, anche con la collaborazione oggettiva dell’opportunismo che si concilia con la destra latifondista (che propende per i bolsonaristi). In concomitanza con lo sviluppo della protesta popolare nelle città e della lotta rivoluzionaria per la terra nelle zone rurali, tale scenario sarà utilizzato dall’ACFA per cercare di ottenere una “terra bruciata” delle libertà e dei diritti fondamentali e centralizzare ancora di più il potere politico nelle sue mani, sotto la maschera di un regime democratico, la stessa strategia golpista di cui si è servito prima di Bolsonaro, e ora con il potenziale di recuperare la “legittimità” che aveva perso e che l’attuale manovra mira a ristabilire. Come si può vedere, lo scenario che si profila è quello di un inasprimento delle crisi sociali, politiche, istituzionali e militari, che, in fin dei conti, poggiano tutte su una base economica in decomposizione senza precedenti.
Le guardie delle libertà e dei diritti democratici – non della “democrazia”, perché questa, nella sua natura burocratico-latifondistica, è viziata da procedure, politiche e misure mutuate dal fascismo – sono le masse. È necessario mobilitarle, ma concretamente su quel fronte in cui possano accumulare forze combattenti per affrontare l’offensiva della reazione e del fascismo. La Rivoluzione Agraria è all’ordine del giorno.