Traduzione non ufficiale da The Red Herald. Un altro articolo che evidenzia la lotta in corso a livello internazionale sulla questione della partecipazione alle elezioni  tra rivoluzionari e revisionisti.

CILE, EL PUEBLO: LE ELEZIONI E COME DISTINGUERE IL COMUNISMO DAL REVISIONISMO

Condividiamo la traduzione non ufficiale di un importante articolo apparso sul giornale rivoluzionario e democratico cileno “El Pueblo” [1]che espone chiaramente la posizione dei comunisti nei confronti della farsa elettorale.

Durante i mesi di novembre e dicembre, l’agenda politica del Paese è interamente caratterizzata dalle elezioni presidenziali e parlamentari: il cambio di governo, la cosiddetta “festa della democrazia”, l’“elezione popolare” di chi amministrerà lo Stato cileno nei prossimi quattro anni.

Per i settori rivoluzionari del popolo è facile sostenere che la serie di promesse che non saranno mai mantenute e l’esibizione di presunte “differenze sostanziali” tra i vari candidati sono chiari segni che le elezioni sono una farsa: un circo elettorale che può intrattenere per la sua volgarità, ma che non offre alcun beneficio al popolo.

Tuttavia, limitarsi a denunciare la farsa elettorale non è sufficiente. È necessario approfondire e affermare che, in realtà, le elezioni sono un meccanismo che cerca di legittimare ciò che è illegittimo: il dominio di una manciata di grandi borghesi e proprietari terrieri al servizio dell’imperialismo sulla stragrande maggioranza della popolazione. Inoltre, dal momento che nell’attuale contesa elettorale si presentano candidati che si autodefiniscono “comunisti”, è particolarmente importante sottolineare che la posizione nei confronti delle elezioni è una questione che segna una profonda linea di demarcazione, in termini ideologici e politici, tra comunismo e revisionismo.

La lotta di classe è il motore della storia, non le elezioni

A partire da Marx, e con il successivo sviluppo dell’ideologia marxista ad opera del grande Lenin e del presidente Mao Tse-tung, è indiscutibile che la lotta di classe sia il motore della storia e che questa si svolga come scontro tra le forze produttive e i rapporti sociali di produzione. Questo è parte dell’ABC per qualsiasi comunista.

È quindi evidente che ciò che determina lo sviluppo politico di una società sono i flussi e i riflussi della lotta di classe. È su questo che dobbiamo concentrare la nostra attenzione e la nostra azione.

Considerando il corso degli eventi nel mondo nel suo complesso, con la Rivoluzione Russa del 1917 siamo entrati nell’era della rivoluzione proletaria mondiale, in cui la lotta di classe non è diretta verso il mantenimento del capitalismo nella sua fase imperialista, ma verso il suo crollo e l’affermazione del socialismo, tra rivoluzioni e controrivoluzioni. All’interno di questo processo, il XX secolo ha visto le rivoluzioni vittoriose in Russia e in Cina e l’ascesa delle lotte di liberazione nazionale antimperialiste a livello mondiale, ma anche le restaurazioni capitalistiche in quegli stessi paesi, insieme a un’ampia offensiva controrivoluzionaria, generale e convergente, del revisionismo e della reazione mondiale in tutti i campi.

Come parte della sua offensiva controrivoluzionaria, la reazione mondiale ha propagandato la “fine della storia”, l’apertura economica e la “globalizzazione” capitalista come destino dell’umanità e la democrazia borghese come panacea, come il punto più alto dell’organizzazione sociale. La democrazia parlamentare, i meccanismi elettorali e il voto universale sono stati i modelli politici che hanno favorito lo sviluppo delle principali potenze capitalistiche-imperialistiche e da lì sono stati promossi come l’“ideale” da implementare in tutto il mondo. Questo, ovviamente, nel campo della propaganda imperialista, poiché nei fatti si continuava ad accettare l’uso delle forme democratiche-borghesi così come qualsiasi altra forma di governo che risultasse vantaggiosa, compresi i regimi militari fascisti più sanguinari.

Tuttavia, già intorno al 1990, di fronte ai regimi militari, che nei decenni precedenti erano stati privilegiati nelle semi-colonie, le elezioni cominciarono ad essere viste come un meccanismo più adeguato a “conferire legittimità” e “autorità riconosciuta dal popolo” ai governi filo-imperialisti, dato che la lotta di classe si faceva particolarmente acuta in ogni luogo in cui venivano imposti i regimi militari. I parlamenti e i governi usciti dalle urne, con ogni tipo di truffa e macchinazione per garantire che gli eletti servissero gli interessi delle classi reazionarie e dell’imperialismo, si rivelarono per il momento più efficaci dei regimi militari nel gestire la lotta di classe.

Naturalmente, di fronte alle profonde contraddizioni di classe, nemmeno i regimi democratico-parlamentari costituiscono una garanzia di pace sociale. È sufficiente osservare gli ultimi avvenimenti mondiali per rendersene conto.

Da un lato, con l’acuirsi delle contraddizioni di classe, le rivolte popolari e le ribellioni possono determinare la caduta dei governi “dal basso”, siano essi eletti o meno, come è avvenuto recentemente in Perù, Nepal e Marocco. D’altra parte, se un governo “si sgretola” e per qualche motivo minaccia gli interessi della potenza imperialista dominante, in particolare gli Stati Uniti, questi ultimi mantengono l’abitudine di rovesciare i governi, anche se sono stati eletti, come è accaduto con Gheddafi, Bashar al-Assad e ora minaccia di accadere con il Venezuela.

È la lotta di classe che, in ultima istanza, guida gli eventi. In questo contesto, di fronte all’intensificarsi della lotta di classe a livello internazionale, le elezioni e la forma di governo democratico-borghese tendono a diventare sempre meno efficaci nel gestire le contraddizioni. Le società avanzano verso una maggiore agitazione politica e i popoli tendono a ribellarsi, per questo le classi reazionarie hanno bisogno di governi sempre più centralisti, di fronte ai quali le elezioni e i parlamenti diventano sempre meno utili all’imperialismo e alla reazione. Questa tendenza sta diventando sempre più evidente.

Falsa democrazia e falsi comunisti

Gli eventi mondiali stanno dimostrando che stiamo entrando in una nuova era di rivoluzioni, di cui le guerre popolari in corso sono l’avanguardia. Per i comunisti e i rivoluzionari è fondamentale approfondire il ruolo politico delle elezioni e distinguere, in tal modo, le posizioni comuniste e rivoluzionarie da quelle revisioniste, riformiste e opportuniste in generale.

Fondamentalmente, noi settori rivoluzionari del popolo non possiamo smettere di impegnarci per chiarire alle masse che la questione della farsa elettorale è strettamente legata alla comprensione che la democrazia liberale non è una vera democrazia e che i “comunisti” che partecipano alle sue elezioni non sono comunisti, ma revisionisti.

E affermiamo che è necessario approfondire, poiché non si tratta di un problema nuovo. Già Marx sottolineava che: «Agli oppressi è concesso di decidere una volta ogni pochi anni quali membri della classe oppressora li rappresenteranno e li reprimeranno in parlamento!»

Per quanto riguarda la questione della dittatura e della democrazia, a partire da Lenin, con la sua grande opera Stato e rivoluzione, comprendiamo che ogni Stato è una dittatura di classe, in cui alcune classi impongono il loro dominio su altre e stabiliscono il proprio apparato burocratico-militare per garantire tale dominio: lo Stato.

La questione è quindi che la democrazia per alcuni è dittatura per altri. La democrazia e la dittatura hanno carattere di classe. La questione è quali classi dominano e quali sono le classi oppresse. Questo determina il carattere dello Stato. Nei paesi coloniali e semicoloniali, come il Cile, dove l’imperialismo ha imposto un tipo particolare di capitalismo denominato capitalismo burocratico, le classi che controllano lo Stato sono la grande borghesia e i proprietari terrieri, che dominano a condizione di rimanere al servizio degli interessi dell’imperialismo, principalmente dell’imperialismo yankee, come nel caso del nostro paese.

Il Cile è da sempre una dittatura immutabile sul popolo, sin dalla nascita della Repubblica. Questo fatto, fondamentale per i comunisti e i rivoluzionari, è stato esposto con estrema chiarezza da Luis Emilio Recabarren più di 100 anni fa: «Il sistema di governo del Cile si definisce democratico – disse – ed è elettivo a suffragio popolare, pieno di vizi e trappole. È un governo feudale e militarista che mantiene in Sud America uno degli eserciti più potenti, per difendere gli interessi acquisiti dei capitali stranieri che sono perfettamente garantiti, senza che vi sia alcuna garanzia per i lavoratori…»

Le forme di governo sono cambiate più volte, da parlamentari a militari, in diversi momenti della nostra storia. Tuttavia, in Cile e in America Latina si è diffusa l’idea errata di definire dittatura solo i colpi di Stato militari; non è così, e noi rivoluzionari dobbiamo impegnarci a fondo per chiarire questa questione.

La grande borghesia e i proprietari terrieri esercitano la loro dittatura di classe sul proletariato, sui contadini, sulla piccola borghesia e persino su settori della media borghesia, utilizzando diverse forme di governo. È una minima parte della popolazione che accumula grandi proprietà e capitali, controlla questo Stato vecchio e marcio e, su questa base, esercita il proprio dominio sulla stragrande maggioranza del popolo. Sotto questo dominio, non esiste alcuna possibilità di sviluppo nazionale a beneficio del popolo, indipendentemente da chi governi sotto questo stesso vecchio Stato. L’unica vera trasformazione può avvenire attraverso una rivoluzione democratica nazionale, antimperialista e antifeudale, guidata dal proletariato, in un percorso ininterrotto verso il socialismo e il comunismo. Una rivoluzione di Nuova Democrazia che distrugga il vecchio Stato borghese-latifondista e crei un nuovo Stato dei lavoratori, dei contadini e del popolo, che confischi il grande capitale e le grandi proprietà, espella l’imperialismo ed eserciti il dominio della stragrande maggioranza del popolo sulla minuscola minoranza che cercherà inevitabilmente di recuperare i propri privilegi e di ripristinare il proprio vecchio dominio.

Questo percorso rivoluzionario, evidentemente, non potrà realizzarsi nell’ambito della legislazione e della struttura statale di questo vecchio Stato. Pertanto, in questa comprensione rivoluzionaria elementare del percorso della rivoluzione nell’attuale Cile, la partecipazione alle elezioni non ha alcun senso per i veri comunisti.

La caducità storica delle elezioni

All’inizio del secolo scorso, la lotta rivoluzionaria dei comunisti prevedeva la possibilità di utilizzare i parlamenti e le elezioni borghesi per diffondere la propaganda rivoluzionaria. Era prassi comune partecipare alle elezioni e utilizzare le cariche per amplificare l’agitazione e la propaganda e servire lo sviluppo politico della classe operaia e del popolo.

Lo stesso Recabarren, in Cile, fu eletto due volte deputato e, da quella posizione, difese attivamente la necessità della rivoluzione. Tuttavia, sulla base della sua esperienza personale, intorno agli anni ’20 giunse alla conclusione che lì si stava perdendo tempo, che si otteneva di più agitando le masse da una piazza piuttosto che dal parlamento e che nessuna trasformazione sarebbe mai stata possibile dall’interno, poiché in quelle cariche corrotte non c’erano persone, ma “mostri insensibili al dolore altrui”.

A partire dagli anni ’30, il presidente Mao Tse-tung in Cina aveva già osservato che, nella pratica della lotta di classe internazionale, nessun paese aveva compiuto progressi significativi nella rivoluzione utilizzando le elezioni. Solo i seguaci del revisionismo – falsi comunisti – che interpretarono opportunisticamente la politica antifascista dei fronti popolari dell’Internazionale Comunista come una politica di fronti elettorali, furono quelli che abbracciarono come loro strada l’idea della partecipazione alle elezioni dei vecchi Stati reazionari. Mantenendo il nome del comunismo, i revisionisti più sfacciati come il P“C” del Cile “archiviarono” a tempo indeterminato il programma rivoluzionario del proletariato e del popolo per trasformarsi in un partito elettorale borghese; i più subdoli mantennero una certa fraseologia rivoluzionaria che conservano ancora oggi, fondando il loro opportunismo sulla tesi di Lenin che sosteneva “tutte le forme di lotta”, senza considerare lo sviluppo del marxismo nei decenni successivi a Lenin, che dimostrò la caducità storica e politica della via elettorale.

In questo preciso momento, mentre la lotta di classe a livello internazionale sta dimostrando che il mondo sta entrando in una nuova era di rivoluzioni, dove le guerre popolari guidate dai comunisti marxisti-leninisti-maoisti sono l’avanguardia dei popoli; dove le lotte di liberazione nazionale in Africa e in Asia colpiscono efficacemente gli interessi imperialisti; in cui le masse popolari si sollevano, fanno tremare e persino rovesciano i governi, siano essi eletti alle urne o meno; in cui anche le più “illustri democrazie” come la Francia e la Germania limitano le libertà democratiche e reprimono brutalmente le proteste popolari; dove la corruzione spudorata si manifesta in tutti i governi, si sta vedendo che, a livello globale, la farsa delle elezioni diventa sempre più evidente e la presunta legittimità popolare dei governi usciti dalle urne è sempre meno convincente per il popolo.

Spetta dunque ai rivoluzionari il compito di contribuire a chiarire perché le elezioni sono una farsa, perché le elezioni popolari non sono sinonimo di democrazia, ma un meccanismo che cerca di legittimare la dittatura di classe della reazione sul popolo; spiegare che per il popolo la strada è la rivoluzione e che, in questa strada, le elezioni non hanno posto; e che, in questo senso, la posizione nei confronti delle elezioni reazionarie è un ulteriore elemento che serve a differenziare chiaramente il comunismo dal revisionismo.

[1] https://periodicoelpueblo.cl/elecciones-y-como-diferenciar-comunismo-de-revisionismo/